lunedì 24 agosto 2009
Andrea Casale, main sail assistant del team, ha raccontato le sue sensazioni in un’intervista rilasciata all’Audi MedCup:
AM: Andrea, partiamo dal Bigamist… Come ti trovi in un team composto quasi interamente da portoghesi?
AC: “Qua io mi sento davvero a casa. E per più motivi: intanto nutro grande affetto per questo equipaggio e mi fa piacere vedere che, oltre a familiari e amici, tutta la tribù della vela del paese è venuta qui a vederli. Io son con loro da tre anni, son venuto più volte qui e non ho problemi a dire che in questo momento tifo un po’ per il Portogallo.”
AM: A giudicare dal tifo sembra che qui ci sia un entusiasmo davvero enorme nei confronti dell’Audi MedCup e del Bigamist.
AC: “Quello che il pubblico sta facendo qua è quello che manca un po’ nella vela: a noi manca lo stadio, manca il palazzetto dello sport, manca la gente. Voi come comunicazione cercate di coprire parte di questo lavoro, vendendo un’immagine. Però noi velisti non sentiamo mai niente. Ieri invece a un paio di giri di boe ho sentito trombe e urla, è stato molto bello e divertente, utile anche a trasmettere un po’ di emozione. In fondo lo sport è fatto anche di emozioni, non solo performance. Alla fine di un risultato, d’altronde, c’è delusione o felicità, due emozioni fortissime.”
AM: Da cosa credi che dipenda questo attaccamento così forte alla barca e al team?
AC: “Il Portogallo è un paese molto più piccolo del nostro, hanno davvero molte meno realtà nello sport. In particolar modo, nella vela, non hanno mai partecipato a competizioni importanti, e dunque questa barca di Pedro Mendonça rappresenta la barca a vela portoghese per eccellenza, da seguire soprattutto in questo che è il Circuito di Serie A. In più quest’anno c’è stato ancora più entusiasmo grazie ai risultati. Inoltre, questo gruppo ha a bordo la loro ‘nazionale’, da Hugo Rocha a Nuno Barreto, medaglie alle olimpiadi, fino ad Afonso Domingos, il loro starista alle olimpiadi. E’ normale, dunque, un simile attaccamento al team.”
AM: Siete la rivelazione del Circuito 2009, e con sette regate vinte siete la barca con più vittorie dopo Emirates Team New Zealand. Vi aspettavate questi risultati?
AC: “All’inizio del Circuito 2009 non avevamo proprio aspettative, e questa è stata una cosa molto positiva. Penso che alcuni team siano andati male proprio per la pressione: quando hai troppe aspettative, non appena l’ingranaggio si incastra iniziano ad esserci a bordo un nervosismo e una frustrazione dannose per l’equipaggio. Noi invece siamo partiti più sereni, e questo è stato un grande vantaggio. Però devo ammettere che a questo punto non ci precludiamo più niente, non abbiamo più complessi, e non mi stupirei se facessimo un altro paio di volte primi.”
AM: Si può dire che voi siate il Chievo Verona dell’Audi MedCup, ovvero la favola del Circuito?
AC: “Diciamo di si. Siamo un team piccolissimo, con meno struttura rispetto agli altri, il budget più basso della flotta, e il maggior numero di dilettanti a bordo. Nell’equipaggio c’è infatti un nocciolo duro di amici del team. Sono convinto dunque che il Bigamist da un certo punto di vista faccia molto bene all’Audi MedCup, soprattutto per chi ci vede da fuori. Se siamo passati da una ventina di barche alle 13 di quest’anno, è perché molti team si sono spaventati del livello tecnico del Circuito e del budget necessario. Invece noi, un team molto più dilettantistico che riesce a togliersi non poche soddisfazioni, siamo un vero e proprio richiamo anche per gli altri. Come a dire: ce la potete fare anche voi!"
AM: Quello di quest’anno per voi è un punto di arrivo o di partenza?
AC: “Quello che può succedere con maggiori possibilità con il Bigamist è che l’esperienza si ripeta il prossimo anno. Altre evoluzioni da parte di questo team, di questo armatore e di questo paese, magari in versione Volvo o America’s Cup, proprio le escluderei. Per questioni di budget e di strutture del paese: per una nazione come il Portogallo, buttare dentro 20, 30 o 40 milioni di euro per una campagna è davvero eccessivo. Inoltre a questo punto della stagione nessuno pensa così lontano, l’inverno è lungo per noi velisti e si fan tante considerazioni. Per quanto mi riguarda ho navigato tre anni con loro, non escludo di farne un quarto, anche perché venire all’Audi MedCup è sicuramente l’obiettivo principe di qualsiasi velista professionista: qualunque ruolo tu abbia, il TP52 è infatti la barca più complessa del momento, e di conseguenza anche la più appagante quando il gioco funziona. E’ normale che si voglia sempre tornare qua."
AM: Anche per quanto ti riguarda non c’è alcun pensiero all’America’s Cup?
AC: “La situazione ora è decisamente troppo caotica, troppo difficile fare un planning per il futuro. Secondo me invece quello di bello che sta succedendo da noi è questa intenzione di fare una barca italiana per la Round The World Race. Nell’immaginario collettivo, una barca italiana in giro per il mondo potrebbe facilmente rimpiazzare il vuoto di Luna Rossa e della Coppa America. Inoltre l’Italia è un paese leader nella vela, abbiamo fatto tante Coppe, siamo nei Circuiti più belli, vinciamo medaglie ai Mondiali, agli Europei e alle Olimpiadi. Siamo ovunque e siamo bravi. Però, abbiamo una grave lacuna: la navigazione oceanica. Penso dunque che questo sia il momento per l’Italia di tornare in Oceano.”
AM: Parliamo del Circuito Audi MedCup 2010: anno nuovo, barca nuova?
AC: “Per il prossimo anno, in questo momento l’idea è che si applichi semplicemente il manuale delle regole cambiate: quindi doppio back stay, bompresso e meno persone a bordo. Non c’è motivo per una barca nuova: innanzitutto non ci sono i presupposti economici, visto che verrebbero raddoppiati i costi dell’anno. Poi quella attuale va più che bene. Infine abbiamo visto quest’anno come le barche nuove non è che stiano mettendo completamente fuorigioco le altre. Si presume infatti che i designer siano arrivati al termine dell’evoluzione di questa box rule, ed è una cosa decisamente positiva. Siamo partiti con un gioco troppo violento: dal 2005 al 2007 ogni anno barche nuove e uno step in più. Decisamente troppo. Adesso è bello vedere come dal 2008 le due nuove gestioni di barche abbiano più o meno gli stessi numeri.”
AM: Quindi questa crisi non è stata poi così dannosa per la vela?
AC: “In questi 10 anni, soprattutto in Italia, c’è stata un’onda che ha legato la vela a un movimento glamour ed esclusivo. E’ stata una cosa anche simpatica, ma è un’etichetta che a me non piace. Secondo me la vela è anche quella d’iniziazione, dei bambini, dei circuiti poco costosi, delle scuole di vela, della fatica e del molto lavoro. Con questa crisi si può ritornare a quel tipo di vela. Dando a tutti un messaggio più positivo di quello che è il nostro sport."
Info:
www.casalevela.com
Etichette: Andrea Casale, TP 52
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